AVVELENAMENTI ED
INTOSSICAZIONI
NEL RICCIO
III^ parte |
Tra i pesticidi ad azione
rapida ricordiamo anche l'
Alfacloralosio.
E' un prodotto di condensazione
di un idrato cloral glucosato.
L'utilizzo più comune è quello rodenticida, ma viene anche utilizzato per
la cattura di uccelli selvatici, preparando esche con cereali.
Ha un'azione sul sistema nervoso centrale, dose e temperatura dipendente, passando da un'attività eccitante ad una depressiva. L'aumento della temperatura ne diminuisce la tossicità; a 60° si decompone. Per inverso, a temperature più basse, per avere effetti letali servono dosaggi ridotti.
La frequenza di avvelenamento del riccio, da parte del cloralosio, è, tutto sommato, piuttosto bassa ed è per lo più mediata: il riccio può nutrirsi di carcasse di altri animali, deceduti per l'ingestione del tossico.
La sintomatologia più caratteristica evidenzia:
iperattività iniziale (da stimolazione),
incoordinazione, atassia e sedazione, in momento successivo,
frequenza cardiaca ridotta, frequenza respiratoria diminuita ed ipotermia, se sono state ingerite grandi quantità di prodotto,
in successione subentra prostrazione e coma; il polso è debole e flebile;
in letteratura sono state segnalate anche ipersalivazione e convulsioni;
possono coesistere, come si vede, sintomi di stimolazione centrale e depressione.
Come per gli altri
avvelenamenti la sintomatologia non è tipica e se manca un raccordo anamnestico
la diagnosi è molto difficile da porre; inoltre, alcune metodiche diagnostiche
avanzate, come per gli
anticolinesterasici, sono molto costose, presenti a livello di clinica
universitaria, e quindi non facilmente disponibili per un uso routinario.
Trattamento
Non esiste un antidoto.
Il trattamento è solo di sostegno:
tenere al caldo l'animale, in luogo tranquillo,
ma non somministrare sedativi!
ventilazione artificiale se presente depressione respiratoria\coma,
in altri animali si
somministrano emetici, per indurre il vomito, ma nel caso del riccio, questo
presupporrebbe l'assunzione del veleno al massimo 30' prima; è pertanto una
misura inutile (e forse dannosa, perchè induce agitazione), come la
somministrazione di carbone!
Una non comune fonte di avvelenamento, ma purtroppo segnalata, specie nei paesi nordeuropei, è costituita dal Glicole etilenico.
E' usato come antigelo
nei radiatori delle automobili, come additivo in prodotti per sciogliere
rapidamente il ghiaccio, nei detersivi ed in altre formulazioni chimiche.
Le intossicazioni sono più frequenti, negli animali in generale, durante
l'inverno, per il notevole uso che ne viene fatto, ma per quanto concerne i
ricci è più comune in primavera (letargo!). Il glicole
etilenico è inodore ed incolore, con un gusto lievemente
dolciastro e palatabile per gli animali, riccio compreso.
Una volta ingerito, il veleno si trasforma in ossalato e, combinandosi con il calcio, si deposita a livello renale, determinando una necrosi epitelio tubulare, con un accumulo di cristalli di ossalato di calcio a livello del tubulo.
Nelle prime ore
dall'ingestione si rileva disattenzione, stupore, ipotermia, vomito, atassia,
debolezza polidipsia/poliuria, anoressia, dolore addominale a genesi renale,
iperpnea e tachicardia come effetto dell'acidosi. Nelle successive 24 ore
ed in rapporto al dosaggio di veleno assunto si presenta un aggravamento della
depressione generale, ulcerazione orale, oliguria se la dose non è elevata o
anuria in uno stato successivo o con dose massiva, sino ad arrivare alle
convulsioni e al decesso.
Nel riccio, in particolare, mancano segni specifici: ataxia ed
incoordinazione progressiva, depressione, anuria e morte sono la sequenza
maggiormente segnalata.
Anche in questo caso la
diagnosi é possibile solo se è presente una storia, riscontrata, di
verosimile accesso al glicole etilenico, da parte del riccio.
Post mortem, il riscontro di cristalli depositati radialmente a livello
renale, la presenza di necrosi tubulare, l'esistenza di cellule giganti e
granulociti nell'interstizio, sono molto suggestivi di intossicazione da glicole
etilenico.
Il trattamento, per lo più tardivo, in ritrovamenti casuali è scarsamente efficace. La grave insufficienza renale acuta che si instaura lascia pochissime speranze di aiuto efficace.
Bicarbonato di sodio per correggere l'acidosi;
vitamina B1 e B6, sono cofattori in vie metaboliche del glicole etilenico che non portano alla formazione di ossalato (servono, ovviamente, solo per il glicole non ancora trasformato ed il loro utilizzo ha senso solo se tempestivo!);
idratazione infusiva (utile solo se non è già instaurata una grave insufficienza renale acuta, nel qual caso è controindicata!)
etanolo, poco maneggevole; è competitivo con la deidrogenasi del glicole e quindi ridurrebbe la formazione di ossalato.
Il trattamento più efficace,
anche in questo caso, è quello profilattico, evitando preventivamente
l'ingestione casuale del glicole etilenico, avendo cura di non abbandonare
recipienti con residui di antigelo parzialmente usati, scatole con detersivi,
contenitori aperti con decongelanti.
Se invece l'abbandono del glicole è doloso, le misure "protettive" da attuare
sono di ben altro tipo.
Molto più frequente è, invece, l'avvelenamento da Metaldeide, uno dei lumachicidi più utilizzato nei paesi occidentali.
Una volta ingerita, nello
stomaco viene idrolizzata a polimeri di acetaldeide, responsabili dei
disturbi neurologici.
Come per la maggior parte dei pesticidi, l'assunzione può essere diretta,
ingerendo granuli di prodotto, oppure secondaria divorando lumache vive o morte,
trattate col lumachicida.
In letteratura, specie del Nord Europa, sono riportati dati estremamente variabili e talora contrastanti sulle dosi letali di veleno assunte o sull'effettiva mortalità derivata dal consumo di lumache trattate; sembra, comunque, ragionevole ritenere che il veleno, una volta entrato nell'organismo sia ugualmente in grado di svolgere la propria attività tossica, anche se il rischio di tossicità secondaria, probabilmente non è così alto come si riteneva in passato; non va scordato, in tutti i casi, che il riccio può introdurre notevoli quantità di lumache contaminate, in momenti successivi, proprio perchè il dosaggio di metaldeide\acetaldeide sub letale introdotto gli permette di proseguire le proprie attività (nutrimento in particolare) per diverso tempo, sino al raggiungimento di dosi efficaci.
La sintomatologia dell'avvelenamento da metaldeide, nel riccio, non si differenzia, in modo caratteristico, da quella dei mammiferi in generale, con segni di interessamento dell'apparato nervoso:
tremori, seguiti da
atassia e incoordinazione motoria,
iperestesia
nistagmi,
iperpnea, per arrivare ad
opistotono e convulsioni toniche;
segni gastrointestinali e metabolici:
scialorrea,
vomito,
acidosi severa,
insufficienza epatica;
segni cardiocircolatori/respiratori:
iperpnea e dispnea,
tachicardia,
ipertermia,
insufficienza respiratoria severa e morte.
I sintomi più facilmente riscontrabili nel riccio, sono, comunque, iperestesia in particolare ai rumori, intensa agitazione, ipersalivazione, tremori, atassia. A volte si riscontra la presenza di vomito o feci diarroiche bluastre, con intenso odore caratteristico di acetaldeide.
Per la diagnosi, oltre al riscontro di una sintomatologia suggestiva di
avvelenamento, è importante il dato anamnestico di un possibile contatto
con la metaldeide, utilizzata, nell'area di ritrovamento del riccio affetto,
come pesticida. La valutazione di metaldeide nel sangue, ammesso di avere
a disposizione un laboratorio che la possa misurare, è inutile per la sua rapida
scomparsa dal circolo come tale (trasformazione in polimeri di acetaldeide). Se
presenti, materiale emetico o diarroico bluastri, che odorano di
acetaldeide, possono sostenere la diagnosi.
Il trattamento è solo sintomatico e di supporto, ma quasi sempre tardivo:
Sedativi o anestetici
per ridurre l'eccitazione e le convulsioni, oltre all'ipertermia associata a
questa attività involontaria:
Diazepam, 2-3 mg per kg di peso; animale al caldo, in ambiente tranquillo;
apomorfina per indurre il vomito (solo se si è certi di un avvelenamento recente, entro 1-2 ore);
infusione parenterale per correggere l'acidosi, con somministrazione ulteriore di bicarbonato di sodio se l'acidosi è grave;
carbone (con le limitazioni più volte ripetute);
il gluconato di calcio intraperitoneale, secondo alcuni autori, può limitare la tossicosi epatica;
ossigenoterapia;
integratori minerali, vitaminici, glicidici, proteici, in un momento successivo, qualora il riccio riesca a superare la fase critica.
La profilassi, anche in questo caso, è attuabile solo utilizzando mezzi
alternativi nel controllo delle lumache!
Ultimo, ma certamente non per gravità di effetti sugli organismi viventi, il Paraquat, un vero orrore chimico!
Il paraquat è una sostanza
chimica tossica utilizzata ampiamente come erbicida, prevalentemente per
il controllo delle erbe infestanti. È classificato come "uso limitato", vale a
dire che può essere utilizzato solo da personale autorizzato. Fabbricato
dalla multinazionale agrochimica basilese Syngenta, il paraquat è la sostanza
principale che compone il Gramoxone, uno dei tre diserbanti più utilizzati al
mondo. Secondo diverse organizzazioni del Terzo Mondo, il Gramoxone è
responsabile dell'intossicazione di decine di migliaia di persone e ha provocato
migliaia di decessi in condizioni atroci. L’uso del Paraquat è sempre
stato criticato duramente, fin dagli anni 60, per i suoi effetti nocivi
sui lavoratori e i contadini, che ne vengono a contatto, con gravi danni alla
salute.
L’alta tossicità del Paraquat, per il quale non esiste nessun rimedio,
produce ancora oggi dei decessi. In Svizzera qualsiasi prodotto fitosanitario
contenente paraquat è proibito dal 31 dicembre 1989. Un divieto era stato
pronunciato, in passato, anche da almeno altri dieci paesi europei, prima che la
commissione UE, nel 2003, autorizzasse di nuovo il prodotto.
Uno degli stati interessati, la Svezia, ha quindi impugnato la decisione presso il Tribunale di Primo Grado dell'Unione Europea, il secondo più importante tribunale dell'UE, che ha vietato l'uso paraquat, fabbricato dalla multinazionale svizzera.
Il paraquat interferisce con i meccanismi della fotosintesi determinando la morte della cellula vegetale. Non fa meno danno a livello animale.
L'assunzione del tossico può avvenire per ingestione, ma anche per inalazione e per contatto. E' una sostanza inodore ed insapore (negli USA vengono addizionati coloranti, emetici e prodotti con cattivo spore per ridurre il rischio di intossicazioni).
Il paraquat è estremamente persistente nell'ambiente; nel suolo ha valori di emivita estremamente variabili, ma con una media di circa 1000 giorni! Fortunatamente i raggi ultravioletti, la luce del sole, i microrganismi del suolo possono degradarlo a prodotti che sono meno tossici del capostipite.
Il quadro clinico non presenta la stessa gravità in tutti gli
animali, inoltre la capacità di esprimere la tossicità è aumentata dalla
presenza di ossigeno, diminuita dalla carenza di vitamina e e selenio oltre a
bassi livelli tissutali di glutatione.
Per quanto riguarda i mammiferi l'ingestione provoca gravi effetti di
tossicità acuta:
bruciore in bocca, alla gola, in regione epigastrica, per gli effetti caustici locali, con successiva
compromissione del tratto gastrointestinale, con nausea, vomito, perdita di appetito, dolore addominale, diarrea, melena;
seguono sete, respiro flebile e corto, tachicardia,
in una seconda fase compare insufficienza renale, grave compromissione epatica, incoordinazione motoria, convulsioni, insufficienza respiratoria, morte.
La tossicità cronica è prevalentemente legata a ripetuti contatti nel tempo:
irritazione e sensibilizzazione cutanea,
ulcere da contatto,
lesioni oculari,
deformità e/o perdita di unghie
Sono riferiti effetti sul sistema riproduttivo, effetti teratogeni, effetti mutageni ed effetti teratogeni; di questi effetti mancano studi effettuati sul riccio europeo, che più tipicamente presenta:
cianosi delle mucose orali,
dispnea,
emissione di schiuma dalla bocca;
tossicosi epatica,
insufficienza respiratoria e morte.
Mancando notizie sull'utilizzo di paraquat o altri erbicidi che lo contengano, la diagnosi diventa ardua e il quadro clinico va differenziato:
dall'edema polmonare,
dalla broncopolmonite (va ricordato, fra l'altro, che il riccio è quasi sempre affetto da parassitosi ed infezioni polmonari, che rendono il basso apparato respiratorio particolarmente suscettibile agli effetto tossici del paraquat, dando luogo a patologie miste di broncopolmonite e tossicità da paraquat!),
traumi/ferite/morsi del naso.
Trattamento
Il trattamento con ossigeno è controindicato perchè accentua la tossicità del paraquat;
Doxapram: mg 5 per kg di peso (per la sindrome respiratoria);
polivitaminici, sali minerali a supporto.
*********
La trattazione non esaurisce le innumerevoli sostanze che possono svolgere un'attività tossica, ma riguarda le sostanze che più comunemente vengono utilizzate come pesticidi, legalmente, nel rispetto delle norme o, purtroppo, dolosamente come veleni. Il veterinario è il professionista che va consultato ogni qualvolta si presenti una necessità sanitaria, evitando l'improvvisazione: la diagnosi e la terapia sono processi complessi, che non si esauriscono in un elenco di sintomi ed in una tabella di esami e rimedi!
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